Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, l’intera penisola italiana subisce una perdita progressiva di sicurezza e stabilità geopolitica. Ce lo dimostrano, ancora prima delle invasioni barbariche del IV – VI secolo d.C., le incursioni via mare che dapprima i Saraceni, poi i Barbareschi compirono ai danni delle molte civiltà marinare dell’epoca.
Sappiamo che la conquista della Sicilia, da parte delle truppe al soldo degli emiri di Qayrawan (capitale del governatorato dell’Ifriqiya), prese il via addirittura già nell’827. Per secoli gli equilibri politici e di potere nel Mediterraneo – e sulle coste italiane nello specifico – si basarano proprio sulla capacità di intercettare, difendersi o trovare accordi con le truppe navali islamiche.
Roma e le sue zone costiere furono spesso meta di incursioni dolorose: la città non era più una grande metropoli come durante il periodo imperiale, e nell’843 subì un saccheggio devastante, con le truppe saracene che risalirono il Tevere dalla foce di Ostia. Fu proprio dopo questo episodio che la zona vasta tra San Pietro e Castel Sant’Angelo fu protetta dalle cosiddette Mura leonine, dal nome di Papa Leone IV (848-852).
È tuttavia nel XVI secolo, in piena epoca rinascimentale, che le scorribande sui mari si fanno ancor più violente, coinvolgendo intere comunità costiere, come quelle affacciate sul Mar Ligure e martoriate dal bellicoso agire di Dragut (Rais Thorgud), pirata con il quale i Doria alla fine giunsero a una sorta di tacito accordo.
Durante il Cinquecento si sviluppa il complesso fortilizio delle torri costiere del Lazio, un complesso di edifici che lo Stato Pontificio, attraverso la Camera Apostolica (l’allora Ministero delle finanze del potere papalino, oggi il gestore delle proprietà vaticane nell’interregno tra due papati) fece realizzare con l’obiettivo di garantire la sicurezza delle acque che circondavano Roma.
In due secoli vennero realizzate complessivamente cinquanta torri in diciotto comuni, ivi compresa la stessa Roma attraverso quello che è oggi il quartiere distaccato di Ostia (X Municipio). Nel territorio dell’attuale Pomezia si trovano due torri, Tor Paterno e Torre del Vajanico.
Si troverà, in quest’ultima, una certa somiglianza nominale con Torvajanica, la frazione costiera della città di Pomezia. Non è un caso: la torre fu costruita nel corso del Cinquecento e, come ricorda Antonio Nibby nel suo Carta de’ dintorni di Roma (1837), il suo nome è una storpiatura locale di balanus (latino), ovvero la ghianda, poiché in zona vi si trovavano querce ghiandifere. La Torre del Vajanico distava 19 miglia da Roma e tre miglia dal borghetto di Pratica di Mare, che lo scrittore e storico riconosce nell’insediamento dell’antica Lavinium.
Di maggiore interesse nella narrazione storica di queste terre è però Torre Maggiore, una delle pochissime ad essersi conservata nella sua forma originale. Questo monumento, che svetta fino alla ragguardevole – almeno per l’epoca – altezza di 34 metri, sorge oggi nei pressi della Via Ardeatina, in prossimità della frazione di Santa Palomba. A differenza delle torri costiere, o meglio in sua integrazione garantiva il controllo sia delle spiagge che delle strade che congiungevano a Roma. Dalla pianta quadrangolare semplice con 7,10 metri di lato, era suddivisa in dieci ordini di finestre con profili marmorei, lo stesso Nibby ricorda che sorgeva in pieno Agro Romano, a 18 miglia da Roma e 3 miglia dalla Via Ardeatina, dalla quale si deviava presso la Solfatara di Pomezia.
Dell’esistenza di Tor Maggiore se ne trova testimonianza in un documento della Biblioteca vaticana conservato in Santa Maria in Via Lata, risalente al 1334. A quel tempo la Turris Maior Sabellensium era di proprietà della nobile famiglia dei Savelli, signori dei comuni castellani di Albano Laziale, Castel Gandolfo e Rocca Priora. Fino almeno al Cinquecento la torre servì non per ripararsi dalle incursioni dei pirati provenienti dalle coste algerine, bensì dagli sconfinamenti degli Orsini, rivali dei Savelli e signori del potente feudo di Marino, da sempre ricco di vigneti.

