La Seconda guerra mondiale lascia a Roma e nella sua provincia danni incalcolabili. A memoria dei caduti, Italia e Germania contribuirono a realizzare il cimitero militare pometino
La Seconda guerra mondiale, dopo l’armistizio del 1943 e fino alla Liberazione del 25 aprile 1945, lascia sul campo di battaglia italico almeno seicentomila morti tra le due fazioni in lotta: quella americano-britannica, alla quale la Resistenza e il governo brindisino si uniscono dopo il 13 ottobre 1943, e quella tedesco-repubblichina di Salò.
L’esercito tedesco, al soldo di Kesselring conterà alla fine delle ostilità 336mila morti in tutta Italia, oltre alle quasi 30mila perdite nella sola Sicilia. Particolare importanza assume, nella manovra di liberazione dell’Italia, lo sbarco di Anzio del 22 gennaio 1944: nel giro di pochi mesi Roma e tutta la sua attuale provincia vengono liberate, sotto il controllo delle forze alleate.
Il bilancio per la Campagna romana è pesante: migliaia di morti tra i civili, intere città e borghi distrutti dai bombardamenti. Tra le necessità impellenti c’è anche quello di dare degna sepoltura alle vittime civili e militari.
Le forze militari americane intervengono requisendo dei territori nei pressi di Nettuno, dove vengono temporaneamente inumate anche le salme dei soldati tedeschi, fino al 1946, quando il Cimitero militare americano di Nettuno verrà deputato a ospitare solo le vittime che hanno combattuto sotto la bandiera a stelle e strisce.
In seguito il recente stato repubblicano individua in una piccola zona a sud di Pomezia, città di fondazione nata a seguito della Bonifica pontina, lo spazio ideale per ospitare le salme dei combattenti germanici temporaneamente ospitati nel vicino cimitero nettunense.
L’inumazione avviene in più fasi: la prima si svolge a inizio 1947, con lo spostamento da Nettuno a Pomezia di 2.740 salme, mentre poco dopo si procede con altri 3.751 corpi di soldati, in precedenza collocati nei campi di battaglia di Anzio e Nettuno.
Tra il 1948 e la fine del 1955 il governo italiano e quello della Germania Ovest raggiungono un accordo per il definitivo collocamento in loco di decine di migliaia di caduti, sia durante la campagna di Anzio che in altre province italiane, complessivamente sedici da Ancona a Reggio Calabria.
Il Deutscher Soldatenfriedhof Pomezia, questo il suo nome in tedesco, viene aperto al pubblico il 6 maggio 1960. Centomila metri quadrati di campo verde, circondato da ampie file di pini, sono divisi in venti aree di eguali dimensioni che ospitano complessivamente 27.443 salme di cui 3.770 mai identificate in oltre settant’anni (per mancanza di elementi di riconoscimento o per il pessimo stato di conservazione delle salme).
Un ampio vialetto in pietra divide le sepolture – basse croci in porfido bianco, ormai scurito dal tempo, sulle quali sono indicate le generalità dei caduti – definendo la direttrice principale del camposanto. Toccante è il sacrario costituito dal monumento di Schmoll Eisenwerth, un grande pilastro roccioso sul quale sono incise le figure stilizzati di soldati e famiglie piangenti, posto al centro di una struttura quadrangolare che poggia su tre ampi gradoni in pietra. Al di sotto di essa, la fossa comune ove riposano le vittime mai identificate della inutile strage, come definì la guerra Papa Benedetto XV.
A monito di chi verrà, sul monumento-basamento vi è scolpita la frase Unser friede liegt in seinem willen, la nostra pace è nella sua volontà. Un richiamo al divino e all’umano, allo spirituale e al materialismo umano.






